Orari di Lavoro, Turni e Diritti dei Lavoratori nella legislazione italiana

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Nell’ambito del diritto del lavoro italiano, la questione degli orari di lavoro, dei turni e dei diritti del lavoratore subordinato, è un tema talmente delicato e fondamentale da essere normato, già dai primi del Novecento, con numerosi provvedimenti legislativi. Il primo a prevedere per espresso limitazioni all’orario di lavoro per operai ed impiegati di aziende industriali, commerciali, o di qualsivoglia natura, fu il Regio Decreto n’ 62 del 1923. È trascorso ormai un secolo da quella disposizione, che adeguava le esigenze richieste dalla cittadinanza agli sviluppi della Rivoluzione Industriale (soprattutto, per ciò che riguardava la tutela della salute del dipendente).

Vediamo insieme come da un secolo a questa parte, l’avvento di nuove professioni e dell’innovazione tecnologica, oltre all’ingresso di fonti normative statali di rango elevato, hanno influenzato la materia dei turni e diritti che spettano al lavoratore.

 

Definizione legislativa di orario di lavoro

Dopo diverse modifiche in materia, apportate nel corso degli anni (Legge Treu del 1997, numerose direttive comunitarie, d.lgs. 66/2003), in base alle disposizioni attualmente in vigore del Decreto Legislativo 8 aprile 2003, n. 66, si può definire l’orario di lavoro come quel segmento temporale in cui il lavoratore si mette a disposizione del datore di lavoro, con l’obbligo di esercitare attività e funzioni richieste.

Il tempo che “non è classificabile come orario di lavoro” è definito dalla legge come orario di riposo per il prestatore di lavoro. La stessa legge, poi, definisce e prevede la tutela dei rapporti di lavoro a seconda della loro natura, che si tratti questa di lavoro ordinario o straordinario, full time o part time, lavoro notturno o casi particolari quali il lavoro “a chiamata” o con reperibilità domenicale, lavoro a turni.

 

Gli sviluppi sindacali: posizioni soggettive ed influenza dei CCNL

All’art. 1, il Regio Decreto prevedeva, per la pressoché totalità di categorie di lavoratori, un limite orario di lavoro massimo pari a 48 ore lavorate ordinarie, a patto che non venissero superate le 8 ore di lavoro giornaliero, festivi esclusi. Nel Decreto Legislativo 8 aprile 2003, n. 66, sono confluiti gli sforzi dei giuristi e la ratifica di numerose direttive generali europee. Fermo restando che la legge non prevede un limite massimo e specifico giornaliero di prestazione del proprio lavoro, sono invece fissati per il lavoro normale:

  • il limite di 40 ore lavorative ordinarie settimanali;
  • Il diritto ad una pausa di dieci minuti, ogni sei ore di prestazione continuativa;
  • un minimo pari a 11 ore di riposo al giorno, e di 24 ore alla settimana.

Il quadro normativo, tuttavia, è ben più ampio, in quanto integrato o addirittura regolato in larga parte dalla contrattazione collettiva. I CCNL possono regolare diversi ambiti del settore di competenza, a patto che si rispettino i limiti fissati dalla legge. Per esempio, il CCNL stipulato da quei sindacati considerati comparativamente più rappresentativi, può stabilire la misura massima di orario di lavoro straordinario; la cui media totale calcolata sul periodo non può, in ogni caso, eccedere il limite generale delle 40 ore lavorate ordinarie.

Se non esiste CCNL applicabile a quella determinata categoria, il lavoro straordinario, previa accettazione del lavoratore, non può superare un massimo di 250 ore all’anno. Sono fatti salvi, naturalmente, i diritti retributivi derivanti da questa prestazione, i cosiddetti “straordinari” o “extra-lavorato”.

Se il contratto di lavoro non prevede il raggiungimento della soglia dell’orario normale, media comparata, si tratta di un part time. Con riferimento a CCNL di categoria, le fasce orarie in cui il dipendente deve recarsi a lavoro vengono pattuite per iscritto con il datore di lavoro, al momento della stesura del contratto. Una posizione di forte tutela dei diritti in capo al lavoratore, restringibile solo nelle situazioni in cui il datore di lavoro può apporre “clausole elastiche” per modificare in un secondo momento gli orari della prestazione richiesta.

Salvo, quindi, le riserve attribuite ai CCNL, le disposizioni normative viste si applicano a tutte le categorie dei lavoratori, eccezion fatta per quelle che la legge espressamente esclude (es. giornalisti, amministratori delegati di società etc.).

I lavoratori “a turni” sono definiti dal legislatore come gli occupati in azienda i quali, “secondo un determinato ritmo, compreso il ritmo rotativo, che può essere di tipo continuo o discontinuo”, prestano opera. E’ il caso degli infermieri o operai in officine e stabilimenti industriali; la loro prestazione lavorativa non può superare le 13 ore lavorative ordinarie, con diritto ad almeno 11 ore di riposo tra una prestazione e la seguente.

E per il lavoratore notturno? La legge stabilisce che la prestazione di tale soggetto – compiuta per almeno 3 ore in un intervallo orario di almeno 7 ore (dalle 22, fino alle ore 5 del giorno seguente) – è garantita con le relative maggiorazioni retributive per il lavoro notturno, o i riposi compensativi.

 

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